Dissalatore di Mola, Damiani fa il punto: “Solo se non esistono altre chance”
24 Aprile 2019
(Stefano Bramanti) Portoferraio, 24 aprile 2019 – Ma il dissalatore a Mola chi lo vuole? Crescono infatti le perplessità degli elbani sull’impattante e costoso “mangia e vomita sale”, in particolare dopo che il sindaco capoliverese Ruggero Barbetti ha svelato di essere in realtà contrario a tale iniziativa; e intanto Italo Sapere, leader del “Comitato per il no al dissalatore”, spiazza tutti e si presenta alle elezioni comunali capoliveresi, tentando di proseguire la sua missione dalle stanze del potere politico locale.
E allora riscende in campo, per fare un serio punto della situazione, il geologo Alessandro Damiani da anni impegnato a lanciare messaggi alternativi per sfruttare al meglio le risorse idriche elbane. “Prima di decidere di costruire un dissalatore occorreva valutare- dice- con opportuni studi, se le crisi idriche estive si sarebbero potute evitare con progetti basati su strategie idriche integrate. Cioè si potevano evitare i razionamenti estivi, realizzando serbatoi per accumulare l’acqua potabile, anche con la produzione delle sorgenti del Monte Capanne (acqua di eccellente qualità, vedasi tabella fornita dal geologo, ndr)? E c’è poi da impegnarsi per ridurre gli sprechi dell’utenza e le perdite delle condutture e fare nuovi pozzi in aree strategiche. Occorre poi puntare sull’utilizzo massiccio, in edilizia, di tutti i sistemi disponibili per il risparmio e riuso della risorsa acqua. Ma non dobbiamo dimenticarci della condotta sottomarina, che porta acqua dalla Val di Cornia.
E’ stata dichiarata a rischio rottura, stante la sua vetustà. In tal caso con il solo dissalatore ed i pozzi esistenti ad uso idro potabile, si potrebbe sopperire al fabbisogno idrico dell’intera isola ?”. Quindi, secondo il tecnico, la realizzazione del dissalatore doveva essere solo un’ultima spiaggia, creandolo solo se l’auspicata autonomia idrica elbana non fosse possibile e solo se tali strategie avessero fallito, buone pratiche comprese. “Ma attenzione, – evidenzia ancora Damiani -il dissalatore ha un altro limite: non pare essere abbinato a dei serbatoi per l’accumulo di acqua, da usare nel periodo di massimo consumo. Si rischia di produrre acqua potabile in eccedenza in inverno ma non a sufficienza nel periodo estivo”.
Quindi nessuno ha avviato mai gli studi specialistici di cui dice Damiani, con scelte politiche condivise da tutti i sindaci per raggiungere l’obiettivo comune dell’autonomia idrica. Da molti anni il geologo afferma che “Non ci si può limitare solo ad estrarre dal sottosuolo nuova risorsa o a “produrla” col dissaltore. I vari interventi da attuare, da me indicati, sono come i tasselli di un puzzle, che alla fine concorrono a darci il quadro completo per la probabile soluzione del problema della sete estiva elbana” .Analizziamo alcuni aspetti evidenziati dal geologo.
Perdite nelle condutture
Un capitolo importante, secondo il tecnico, sono le perdite delle condutture isolane, perché la nuova produzione di acqua col dissalatore, immessa in rete, in buona parte andrebbe dispersa. Esistono dati on line forniti dall’Istat sulle perdite delle tubazioni, ad esempio sono il 61,6% nel comune di Porto Azzurro, 58,76% a Rio Marina e addirittura del 68,75% a Marciana Marina e il 77,97% a Rio nell’Elba. Sostituire l’intera rete dell’acquedotto avrebbe costi improponibili, ma prima o poi il problema dovrà essere affrontato, la perdita di acqua supera la produzione in molti casi.
Pozzi nuovi?
I pozzi presenti sull’Isola sono alcune migliaia. “Se perdurano le stagioni siccitose,-dice l’esperto- prelevare acqua dal sottosuolo in modo non sostenibile per l’equilibrio idrogeologico, potrebbe determinare seri problemi in termini di disponibilità idrica ad uso idro potabile, ma soprattutto peggiorare la qualità delle acque stesse, sino a renderle inutilizzabili nelle aree pianeggianti, anche per uso agricolo”.
I nei del dissalatore
Studi internazionali dicono che per ogni litro di acqua prodotto, si genera un litro e mezzo di acqua ipersalata, che contiene sostanze chimiche tossiche. Questa “salamoia” viene reimmessa nel mare, mettendo a rischio gli ecosistemi marini. E tra i fattori di criticità che vengono imputati al dissalatore ci sono l’ingente consumo energetico, i costi per la sua costruzione che possono lievitare fino a 20 milioni. Gli impianti di dissalazione nel mondo hanno la capacità di produrre 95 milioni di metri cubici di acqua dolce al giorno A lanciare l’allarme è stato l’Istituto per l’acqua, l’ambiente e la salute dell’università delle Nazioni Unite.
In definitiva Damiani fa capire che le scelte idriche fatte fino ad oggi, sono state insufficienti a tutelare la Perla del Tirreno e intanto da secoli l’acqua delle sorgenti, di ottima qualità, superiore a quella che arriva dalla Val di Cornia, finisce in mare.
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