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24 Dicembre 2024

I bimbi motosi di Livorno


(Marco Ceccarini) Livorno, 15 settembre – I “bimbi motosi”. Così i livornesi hanno chiamato, in questi convulsi giorni, le centinaia e centinaia di ragazze e ragazzi che, all’indomani del tragico nubifragio che ha colpito la città, si sono subito messi a disposizione della Protezione civile, che coordina gli interventi, per riportare al più presto Livorno a un minimo livello di normalità. E non poteva essere altrimenti. Nel termine “bimbi motosi”, o “bimbi della mota”, c’è tutta la livornesità possibile, anzi c’è tutta Livorno, il suo non prendersi troppo sul serio neanche nei momenti più drammatici, il suo essere informale anche quando si fa qualcosa di grande. Perché, sia chiaro, l’apporto che i volontari, in gran parte livornesi, stanno dando alla loro città non ha pari. In percentuale, un livornese su otto, vale a dire ventimila persone di tutte le età, è sceso o sta scendendo con la pala o la ramazza nei luoghi del bisogno. E moltissimi sono “bimbi” e “bimbe” che non arrivano a diciotto anni.
A Livorno non potevano esserci gli “angeli del fango” come fu a Firenze, od i “figli della bratta”, come è stato a Genova qualche anno fa. Troppo auliche, troppo ricercate, simili terminologie, specie quella fiorentina. A Livorno si è più alla buona, senza orpelli, per cui se il fango è “mota” e se i ragazzi son tutti “bimbi”, i giovani volontari livornesi, di conseguenza, non potevano essere, per sillogismo, che “bimbi della mota” o meglio “bimbi motosi”.
Se vai in giro per la città, sui luoghi del disastro, dove la gente accantona fuori dalla porta di casa tutto quello che la forza dell’acqua ha distrutto o compromesso, dal tavolo rovinato al mobile rigonfio, dal frigo in cortocircuito al televisore rotto, li vedi intenti a dare il loro contributo, con dedizione e in silenzio, i “bimbi motosi”, che spontaneamente si sono messi al servizio della città.
Non manca chi li ha criticati perché qualcuno di loro, tra una palata di fango e un cassonetto scaricato su un camion, si è fatto qualche selfie e l’ha postato su Facebook, come si fa oggi. Ma queste critiche, a parere di chi scrive, non sono condivisibili. Bisogna essere seri, non seriosi. E la serietà non si misura con i selfie, ma con l’abnegazione e il risultato ottenuto. Ed allora, selfie o no, sono tutti da elogiare, questi “bimbi motosi” dal sorriso contagioso. C’è chi pulisce con le ramazze, chi raccoglie i rifiuti più grandi, chi invece svuota i garage e gli scantinati allagati con i secchi od alcune piccole idrovore. Sono belli a vedersi, con le bermuda ed i guantoni di plastica, tra scatoloni colorati e cartoni sporchi di terra. Sono la nostra gioventù. I più sono sono studenti e non hanno esitato a spendere gli ultimi giorni di vacanza per la loro città. Non sarebbe bello chiamarli “angeli del fango”. Sarebbe troppo asettico, non sarebbe livornese. Per cui ben venga il conio “bimbi motosi”. Dà l’idea di ragazzi e ragazze che si danno senza risparmiarsi, con slancio ma anche con gioia, felici di mettersi al servizio, pur con la tristezza nel cuore, della città che amano.
Questa partecipazione al salvataggio di Livorno potrà avere, siamo certi, anche un risvolto positivo e concreto per il futuro di questi giovani che già sanno essere altruisti. L’essere attivi in un contesto che lascia attoniti, dove la tragedia la respiri e la tocchi, può essere, per loro, una potente esperienza di vita, la fucina in cui, se vogliono, possono forgiare, oltre al senso di solidarietà, anche una consapevolezza sociale, la capacità di organizzarsi e di organizzare, di operare scelte fondate e non frivole. L’augurio è che l’esperienza aiuti i “bimbi” e le “bimbe motose” di Livorno a diventare uomini e donne con capacità critica, cittadini consapevoli, in grado di ragionare in modo obiettivo e responsabile, perché è di questo che la città di Livorno, passata l’emergenza, avrà bisogno da subito e in prospettiva nei prossimi anni.