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30 Dicembre 2024

Roberto Saviozzi e il suo Don Chisciotte, vernissage al circolo Amato


(Massimo Masiero) Livorno, 22 marzo – Quattrocento anni fa moriva Cervantes e Roberto Saviozzi nel 2016 ha voluto ricordare l’evento a modo suo, realizzando una serie di undici “carte”, in bianco e nero, potenti e inquietanti, che illustrano il capolavoro “Don Chisciotte della Mancia”, e di cui si è impossessato infondendovi la sua personalità e la sua creatività. Ne è nato il “suo” Don Chisciotte, come titola il “vernissage”. L’inaugurazione avrà luogo, venerdì prossimo 24 marzo alle 17,30, e la mostra resterà aperta fino al 30 marzo, al circolo culturale d’arte “Antonio Amato” di via Michon 22, con orario 10-12,30,16-19 (domenica chiuso).
“Stimolato dalla ricorrenza – racconta Roberto Saviozzi – ho deciso di effettuare la rilettura del capolavoro con l’intento di meglio indagare l’inverosimile mondo donchisciottesco, alla ricerca di particolari situazioni e dettagli che di quel mondo potessero significativamente e sinteticamente rendere conto. Ho così raccontato, attraverso le 11 carte che compongono l’opera, di battaglie e di avventure, di speranze e di delusioni dell’Hidalgo e del suo scudiero, le cui immagini, così come da me immaginate, sono pure presenti nell’opera stessa”. Poi un’affermazione da interpretare specialmente per un artista che ha ancora molto da esprimere: “Considero questo lavoro come una tappa, in sé conclusa, del mio percorso artistico, il quale si è articolato nel corso di oltre un cinquantennio, secondo modalità di ricerca di varia impostazione e genere. Ho così pensato di dare conto di alcune delle fasi di tale mia ricerca ai visitatori della mostra esponendo, a fianco a “Il mio don Chisciotte”, una essenziale antologia pittorico-grafica per segnalare ai visitatori l’opportunità di una lettura dell’opera “nel contesto” del mio lavoro complessivo”.
Lorenzo Greco, scrittore e docente universitario, nel dicembre 2016, ha commentato i suoi lavori tracciando il percorso artistico dell’artista.
“Conosco Roberto Saviozzi fin da ragazzo, e mi ha sempre colpito la sua ‘religione’ dell’arte, cioè una predisposizione vocazionale e una dedizione così profonde e autentiche che infatti non hanno cessato di accompagnarlo finora. Il lavoro che pubblica oggi è tuttavia una vera sorpresa. Per i 400 anni della morte di Cervantes egli ha sentito la necessità di rileggere l’opera di quel grande visionario, e da sensibile artista com’è ha rielaborato emozioni e idee conseguenti all’esperienza di lettura. Il Don Chisciotte, si sa, è un oceano sterminato, e di grande complessità, benché innumerevoli siano state le opere nate dalla sua rilettura. Per esempio il cinema più volte si è ispirato in vario modo alla figura del Cavaliere della Mancha, con imprevedibili esiti, come il film di Giovanni Grimaldi che la parte di protagonisti stralunati e surreali la affidò nientemeno che ai due comici popolari Franco e Ciccio. Ovviamente fra le illustrazioni d’arte più elevate il pensiero va alle tavole di uno straordinario Salvator Dalì le cui tavole non utilizzavano solo il bianco e nero ma anche altri intensi toni cromatici. Il Don Quijote di Dalí non è quindi il locus dei contrasti netti: bianco-nero, pazzia-saggezza, vita-morte, castità-licenziosità, ma delle infinite sfumature che Cervantes cercava e suggeriva. Il colore serviva a Dalì per indicare la parabola ascensionale che sembra identificare il delirio del cavaliere e che coincide con lo sbiadirsi del volto di don Quijote verso l’alto, verso un cielo che in tal modo si fa coloratissimo. L’altra dimensione invece è quella bassa, orizzontale del ritratto dove regnano il bianco e nero, i colori forti della certezza.
Proprio con la forza concreta del bianco e nero non a caso Saviozzi racconta il suo viaggio nell’opera come una gratificante avventura alla ricerca di quell’ignoto che l’esperienza di lettore gli riservava. Ben presto si è ritrovato in un labirinto intimo, non semplice da comprendere, fatto di forme disgregate in frammenti, e proprio la scelta della gamma dei bianchi e neri gli ha permesso una maggiore libertà rappresentativa. Proprio la liberta dell’artista colpisce, non frenata dalla imponenza del modello originale; la sua fantasia si è messa a correre libera per sentieri sgombri da pregiudizi, accesa per lo più dai particolari magari più nascosti ma essenziali. Nel raffigurare i tre personaggi principali egli ha studiato ogni singola forma per conferire loro il massimo rispetto e poetico omaggio. Ne scaturiscono tavole dense, intense, dove il minimo spazio a disposizione dell’artista è carico di riferimenti, preziose allusioni e vere citazioni, in una tensione titanica e inesausta che ricorda l’incantata fiducia del bambino che in una buca di sabbia rovescia i suoi secchielli di acqua marina.
Misurarsi con Cervantes significa probabilmente per Saviozzi dimostrare, o meglio testimoniare una volta di più il suo disinteresse dell’arte per l’arte, alla ricerca di dimensioni autentiche dello spirito fatte di lunga macerazione e introspezione, dopo tanti decenni di lavoro si coglie in questa opera matura e inquietante per gli abissi interiori che esplora, l’essenzialità della sua ricerca sempre motivata, sempre rigorosa, mai estetizzante, vale dire formale tout court. Una ricerca che per l’appunto potremo definire marcatamente etica”. masierolivorno@gmail.com