Un New Deal 2.0 per lo sviluppo tecnologico della Toscana costiera
25 Ottobre 2016
(Ruggero Morelli) Livorno – ottobre. L’obiettivo è ambizioso. Un libro dei sogni? Non proprio. Ha forti elementi di concretezza: si possono leggere tutti nel «piano per lo sviluppo della Toscana basato su innovazione ed economia digitale», un vero «New Deal 2.0» contenuto in uno studio della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e del suo Istituto di bio-robotica sulla possibilità di «rilanciare rapidamente l’economia creando domanda di prodotti/servizi ad alto valore aggiunto e ad alto contenuto tecnologico». Cardini del progetto è «l’assunzione da parte della Regione Toscana del ruolo di Regione imprenditoriale», un concetto mutuato dalla ricerche di Mariana Mazzuccato, (www.costaovest.info, opinioni) la prima economista che ha spiegato, in Italia, quanto sono stati fondamentali (e necessari) gli investimenti pubblici di enti governativi americani per far crescere la Silicon Valley.
Da qui la «Regione imprenditoriale», che significa intervenire direttamente e con forza sulla domanda di prodotti e servizi innovativi grazie allo strumento del Public pre-commercial procurement (acquisti pubblici pre-commerciali, concessi ad alcune condizioni dall’Ue a differenza del normale «aiuto di Stato») e l’accorciamento dei tempi della catena ricerca-innovazione-prodotto-nuovi posti di lavoro grazie al mercato creato dalla Regione. Il progetto pisano, focalizzato sulle risorse esistenti sulla Costa — area di crisi identificata dalla giunta e dal Consiglio regionale — sfrutta proprio il Public pre-commercial procurement, previsto dal diritto comunitario, che «costituisce una deroga espressa alla regola (altrimenti ferrea) del divieto di aiuti di Stato, ancorché con fondi regionali, locali, alle imprese» e che si articola con una Agenzia per la sua attuazione. Alla giunta, aiutata da un comitato per i progetti strategici e dall’«Agenzia Toscana 2020», spetta l’individuazione delle linee di intervento, delle modalità attuative, della gestione e del controllo dei risultati dei bandi finalizzato a questo piano di sviluppo. La Regione dovrebbe mettere almeno 100 milioni l’anno per 5 anni, così da creare una massa importante di finanziamenti, e agire anche con defiscalizzazione, stimolando la raccolta fondi per la start up, coinvolgendo il sistema bancario e finanziario in questo sforzo finalizzati a pochi filoni di intervento e a progetti innovativi. Il progetto coordinato da Paolo Dario, direttore dell’istituto di bio-robotica, sottolinea un altro fattore chiave per il successo dell’operazione: l’esistenza in Toscana del «capitale umano» e delle conoscenze necessari, sparso in un sistema di industrie start-up, supportato da una rete di Distretti Tecnologici e collegato già stabilmente con grandi gruppi industriali e con gli Atenei. Un’«economia della conoscenza» che ha grandi margini di crescita e di creazione di valore aggiunto. Ma in quali settori l’economia della conoscenza può trasformarsi rapidamente con la spinta della Regione (e magari anche delle Camere di Commercio) in posti di lavoro e in ricchezza? Agendo in modo integrato e coordinato su salute e benessere, industria e servizi e ambiente. Sulla sanità, in 3-5 anni, si possono utilizzare i sistemi biorobotici in chirurgia, il tele monitoraggio, le conoscenze nella scienza della vita, l’automazione ( ci sono ormai anche robot per la riabilitazione dei pazienti) per «favorire la vita sana e più lunga, intervenendo in ospedali, ambulatori, residenza per anziani, assistenza domiciliare». Per l’industria e i servizi c’è ampio spazio per applicare l’intelligenza artificiale e la robotica nella logistica, nella mobilità in città, nei servizi per le imprese, per creare una infrastruttura digitale ed una per le stampanti e la manifattura in 3D e per un sistema automatizzato ed ecologico di smaltimento delle navi nel nuovo porto di Piombino.
Fantasia? Beh, i dati di Mazzuccato dicono l’opposto. E l’esperienza recente di «Catapult», mega-incubatore diffuso nato a Londra per portare l’innovazione nelle piccole e medie imprese e far crescere start up dimostra che una «catapulta» per lanciare una città, fino ad allora votata alla finanza, nell’hi-tech può essere uno strumento utile. D’altra parte, l’approccio di rischio verso l’innovazione in qualche modo è nato in Toscana: quando fu affidato ad un «bravissimo orefice e costruttore di orologi, senza alcuna preparazione formale in architettura e alcuna esperienza di costruzioni» un progetto che, dopo sei secoli, è la più grande cupola in mattoni del mondo: quella del Brunelleschi.
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