Enrico Fernandez incontra Alberto Paradossi, il figlio dell’uomo che salvò la sua famiglia
5 Settembre 2021
(Marco Ceccarini) Livorno, 5 settembre 2021 – Un incontro toccante, struggente, di quelli che danno senso all’intera esistenza di un uomo. Una storia di altri tempi, per fortuna, di quando appartenere a una religione o ad un’etnia diversa da quella dominante poteva farti finire in un campo di lavoro o peggio ancora in un campo di concentramento in attesa di essere ucciso o sottoposto ad esperimenti di ogni genere.
L’incontro c’è stato ieri mattina, sabato 4 settembre, a Villa Bottini di Lucca, in occasione delle celebrazioni del 77esimo anniversario dalla Liberazione della città di Lucca e della Piana lucchese. L’imprenditore livornese Enrico Fernandez Affricano, impegnato nel settore oleario con la ditta Aromolio, ha incontrato il collega lucchese Alberto Paradossi.
I fatti risalgono a dopo l’8 settembre del 1943 quando i tedeschi, in ritirata verso la Germania, persero la testa, facendo saltare in aria paesi e chiese, compiendo rastrellamenti, uccidendo e deportando soprattutto chi era di religione ebraica.
Alberto ed Enrico, all’epoca, erano bambini. Alberto era il figlio dell’imprenditore oleario Umberto Paradossi. Enrico, invece, era figlio di Paolo Fernandez, anche lui impegnato nel settore oleario, e con il padre, la mamma Edma e la sorella Fernanda era sfollato da Livorno a Guamo, nelle campagne lucchesi, dopo che l’emanazione delle leggi razziali da parte del regime fascista aveva posto in pericolo gli ebrei e tutti coloro che con questi avevano una “contaminazione” (così i nazifascisti intendevano la questione, ndr) nella propria ascendenza. Il regio decreto che promulgava le leggi “in difesa della razza”, tra l’altro, vennero emanate come oggi, 5 settembre, nel 1938, esattamente 78 anni fa.
Si seppe, a un certo punto, che la famiglia di Enrico Fernandez, di origine ebraica da parte di padre e cattolica di madre, correva il rischio di essere arrestata e deportata. Il fatto di appartenere a una famiglia “mista”, nel delirio dell’epoca, non attenuava il pericolo. Eppure ciò non accadde. Non poté accadere perché, sua fortuna, si imbatté nel coraggio e nel senso civico di Paradossi che, pur rischiando la vita, non esitò a mettere in salvo la famiglia dell’amico e collega livornese.
“Era piccolo ma ricordo molto bene tutto”, spiega Fernandez Affricano a Costa Ovest. “Eravamo sfollati in provincia di Lucca quando, una mattina, arrivò Paradossi per portarci di nascosto a Roma. Aveva saputo che potevamo essere arrestati e deportati. Per questo non perse tempo e ci aiutò a fuggire”.
Ieri, alla presenza del sindaco di Lucca, Alessandro Tambellini, c’è stato l’incontro e l’abbraccio tra Enrico Fernandez Affricano ed Alberto Paradossi.
“Mio padre è stato un dirigente del Livorno e io ne sono stato presidente e adesso mi hanno nominato presidente onorario della nuova società amaranto. Il padre di Alberto è stato presidente della Lucchese. Anche questa cosa ci accomuna”, chiosa con ironia Fernandez Affricano. Il quale, poi, ci tiene a ricondurre quanto accadde molti anni fa al suo senso più vero: “Fu un gesto grandioso. Non nascondo di essere stato molto emozionato e commosso, ieri mattina, a Lucca. Ho abbracciato Alberto come si abbraccia un fratello. Non è esagerato dire che il padre di Alberto ci ha ridato la vita”.
Per ricordare Umberto Paradossi la città di Lucca gli ha dedicato un albero all’interno del Giardino dei Giusti e delle Giuste sul bastione di San Colombano lungo le Mura.
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