I berberi d’Italia festeggiano lo yennayer pensando ai loro fratelli d’Algeria
12 Gennaio 2022
(Marco Ceccarini) Livorno, 12 gennaio 2022 – Si celebra oggi, mercoledì 12 gennaio, il capodanno berbero, noto come yennayer (dal latino ianuarius, ndr), termine che indica anche il primo mese dell’anno berbero.
Il calendario berbero segue quello giuliano. Il primo mese dell’anno, dunque, dovrebbe coincidere con il 14 gennaio del calendario gregoriano ormai universalmente adottato nel mondo. Tuttavia, in gran parte del Nordafrica, area geografica che i berberi chiamano Tamazɣa, si fa cadere tale capodanno il 12 gennaio. E poiché, a partire dagli anni Sessanta del Novecento, si associa il capodanno berbero a una numerazione che prende il via dal 950 avanti Cristo, quando presumibilmente salì al trono d’Egitto il faraone Sheshonq I, quello che inizia oggi è l’anno 2972.
La data, che viene ricordata dalle comunità berbere di tutto il mondo e quindi anche in Italia compresi i berberi che vivono nella Toscana costiera, offre l’opportunità di soffermarsi sulla questione berbera, ovvero sulle difficoltà e sulle discriminazioni che le popolazioni autoctone della Tamazɣa ancora oggi subiscono. Nonostante in Africa settentrionale, attualmente, vivano tra i 35 ed i 40 milioni di persone di origine berbera, infatti, sono proprio loro i grandi assenti della scena politica nordafricana.
I berberi, che si autodefiniscono imaziɣen o imazighen, ossia “uomini liberi”, costituiscono una percentuale non trascurabile della popolazione del Nordafrica. Sono concentrati soprattutto in Marocco e in Algeria, ma sono presenti anche in Tunisia e in Libia, mentre residuale è la loro consistenza in Egitto, Mali, Niger, Mauritania ed altri Paesi.
In Marocco, dove sono circa 20 milioni, più di una persona su due ha origine berbera. In Algeria, dove sono all’incirca 13 milioni, una su quattro. Poco meno di un milione sono i tunisini di etnia berbera ed altrettanti i libici. Si calcola inoltre che circa 2 milioni siano i berberi che vivono nell’Unione Europea, soprattutto in Francia, ma parecchi risiedono anche in Italia e in Belgio. In provincia di Livorno sono qualche decina.
In quello che gli arabi chiamano Maghreb, i berberi vivono situazioni difficili. Uomini e donne di cultura, giornalisti, psicologi, avvocati, ma anche commercianti, studentesse e studenti, proprietari terrieri, semplici cittadini, sono ostacolati ed isolati, emarginati, talvolta perseguitati.
Sovente l’Unione Europea è intervenuta contro le sistematiche violazioni dei diritti umani nel Nordafrica e in particolare in Algeria. E’ una situazione oggettivamente critica, segnata da contraddizioni, nel cui alveo si inserisce la questione berbera, storicamente portata all’attenzione internazionale dal berberismo, o timmuzɣa, cioè da quel movimento che si pone l’obiettivo di preservare e valorizzare l’identità berbera.
Con un’interrogazione del marzo 2021 al Parlamento europeo l’eurodeputata italiana Gianna Gancia ha evidenziato gli “abusi sistematici ai danni degli oppositori politici da parte delle autorità algerine” chiedendo alla Commissione europea di avviare un’indagine su tali abusi e di imporre sanzioni per le gravi violazioni commesse nei confronti dei detenuti del movimento Hirak che dal febbraio 2019 scuote l’Algeria chiedendo un profondo rinnovamento della politica. E’ il movimento che ha costretto Abdelaziz Bouteflika a dimettersi dalla carica di capo del governo.
All’interrogazione della Gancia ha fatto seguito, un mese dopo, la presentazione da parte dell’eurodeputato francese Thierry Mariani, sempre al Parlamento di Strasburgo, di una risoluzione che, partendo dal sostegno al movimento popolare Hirak, ha allargato lo sguardo sull’intera situazione in Algeria chiedendo all’Unione Europea “di essere più esigente nelle sue relazioni con il governo algerino”.
Ma anche queste iniziative, al pari di altre precedenti messe in campo a livello europeo, non hanno sortito l’effetto sperato. L’Algeria ha sempre condannato i provvedimenti del Parlamento transnazionale e ha minacciato conseguenze sui rapporti con gli Stati europei.
A nulla, inoltre, è valsa la presa di posizione dell’Alta commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, ex presidente del Cile, che ha chiesto la fine della detenzione arbitraria in Algeria e l’abrogazione delle norme che violano la libertà di espressione e di riunione. Così come a nulla è servita la presa di posizione di Amnesty International, l’organizzazione mondiale contro le discriminazioni, che ha denunciato la repressione e la persecuzione dei leader politici di opposizione e dei giornalisti, a partire dal caso di Khaled Drareni, condannato a due anni di carcere per reati di opinione.
I movimenti berberisti, in Algeria, sono attualmente impegnati nel sostegno al movimento Hirak che si batte contro l’oppressione, la corruzione e la disoccupazione in un Paese dove l’economia è in caduta libera nonostante sia il decimo produttore al mondo di gas. Alto è il rischio che il Paese si trasformi in una pericolosa polveriera a cielo aperto.
Il berberismo affonda le proprie origini negli anni della colonizzazione francese, quando furono sviluppati studi sulla cultura, la storia e la lingua delle popolazioni autoctone. E’ stato in quel periodo, nella prima metà del Ventesimo secolo, che la coscienza identitaria berbera, dopo secoli di oblio dovuto all’arabizzazione forzata del Nordafrica, ha ripreso a svilupparsi ed a diffondersi. Inizialmente la riscoperta dell’identità fu impiegata anche in funzione anti-francese. Il movimento nazionalista algerino delle origini si avvalse dell’apporto dei giovani cabili. Ma essi furono ben presto emarginati dai dirigenti di lingua araba e religione islamica e il loro apporto di conseguenza si attenuò.
Forti contributi alla riscoperta dell’identità berbera sono stati forniti, nel tempo, da alcune associazioni attive in Francia, la principale delle quali fu l’Accademia berbera, grazie alle quali il berberismo si è diffuso negli anni Sessanta e Settanta in Marocco e in Algeria, dove negli anni Ottanta scoppiò la cosiddetta “primavera berbera”.
Sia in Algeria che in Marocco il movimento berberista, fin dalle origini, ha incontrato le contrapposizioni dei governi di Algeri e di Rabat, ma con la “primavera” entrambi i governi, di più quello marocchino, iniziarono ad accogliere alcune delle rivendicazioni storiche dei berberi, in particolare nel campo educativo e per quanto concerne la lingua, anche se alle decisioni formali, purtroppo, non sempre seguirono i fatti.
In occasione della “primavera nera”, scoppiata dopo che nell’aprile 2001 la Polizia aveva ucciso il giovane cabilo Massinissa Guermah, l’attivismo militante berberista riemerse in Algeria, soprattutto in Cabilia, dove il supporto di gran parte dell’elettorato al Fronte socialista e al Raggruppamento per la cultura e la democrazia portarono all’isolamento della regione dal resto del Paese. Tale isolamento e la difficile situazione economica provocarono tensioni sociali e politiche. Le ripetute mobilitazioni popolari coinvolsero centinaia di migliaia di persone.
La “primavera araba”, quel movimento di libertà che investì con proteste ed agitazioni il mondo arabo tra la fine del 2010 ed i primi del 2013, vide il movimento berberista battersi per il riconoscimento ufficiale della lingua e rivendicare riforme politiche e sociali. Il berbero è stato riconosciuto in Algeria nel 2016 anche se ostacoli di ogni tipo, oggi, vengono frapposti alla sua effettiva diffusione. I libri di lingua e grammatica berbera, ad esempio, hanno prezzi fuori mercato ed eccessivi.
La lunga marcia dei berberi algerini verso il pieno riconoscimento dei propri diritti è ancora lontana dal concludersi. Il movimento berberista è differenziato. Tuttavia, se fino agli eventi della “primavera nera” le rivendicazioni erano state indirizzate al perseguimento di un’Algeria berbera senza vene secessioniste, dopo hanno cominciato a registrare pulsioni regionaliste tese ad esaltare l’identità cabila. Già nell’agosto 2001, ad esempio, il cantante Ferhat Mehenni annunciò la fondazione del Movimento per l’autonomia della Cabilia e l’iniziativa venne sostenuta dal linguista Salem Chaker.
Oltre che in Algeria, dove ancora oggi le regioni montuose della Cabilia e dell’Aurès sono quelle con la più alta incidenza di popolazione berbera, il berberismo si è sviluppato in Marocco, dove centinaia sono state e sono le associazioni culturali che hanno favorito il risveglio della cultura autoctona e dove, in ogni caso, diversa è la situazione
A Rabat, ascendendo al trono nel luglio 1999, il sovrano Muhammad VI, ancora al potere, promise una serie di riforme che andavano incontro anche al movimento berberista. Pochi mesi dopo il re visitò la regione berbera del Rif, una delle più marginalizzate del Paese, rendendo omaggio a Abd El Krim, figura popolare tra i giovani berberi marocchini. L’anno successivo, nel marzo 2000, oltre duecento tra intellettuali ed attivisti firmarono il “manifesto berbero” per il riconoscimento della lingua e contro la marginalizzazione delle regioni berbere.
Gli eventi della “primavera nera” nella vicina Algeria, a partire dalla primavera 2001, ebbero un importante appoggio in Marocco, dove gli attivisti organizzarono marce e dimostrazioni contro l’ipotesi di un Marocco completamente arabo ed islamico.
Muhammad VI, teso a modernizzare il Marocco ed a sganciarlo dall’ipoteca religiosa, annunciò nel luglio 2001 la fondazione dell’Ircam, un istituto per la promozione della cultura berbera e la standardizzazione della lingua. L’iniziativa venne però accolta in modo duplice all’interno del movimento berberista. Non pochi attivisti furono entusiasti, mentre altri lo criticarono, considerandolo una strategia dello Stato per controllare il movimento. In realtà il sovrano voleva ampliare il consenso sociale in un’ottica di contrasto agli islamisti. L’ala più radicale del movimento berberista, invece, si riunì sotto l’egida di un partito politico incentrato esclusivamente su istanze etnocentriche. Il Partito democratico amazigh marocchino, fondato nel 2005, nel 2008 fu sciolto in quanto contrario al dettato costituzionale.
Più recentemente, nell’ambito della “primavera araba”, in città come Casablanca, Rabat, Tangeri, Fès, Agadir, Marrakech e molte altre, i berberisti hanno partecipato alle manifestazioni per il rinnovamento sociale. Assieme al movimento Venti febbraio hanno chiesto il riconoscimento del berbero e con la nuova Costituzione del luglio 2011 quella berbera è lingua ufficiale del Marocco assieme all’arabo.
In Tunisia la caduta del regime di Zine El Abidine Ben Ali, avvenuta sulla spinta della sollevazione popolare nel gennaio 2011, ha incoraggiato la comunità berberofona ad impegnarsi nel rivendicare i propri diritti culturali e sociali. Le minoranze berbere, presenti soprattutto nel Sud del Paese, sono tollerate e vivono in sostanziale pace.
Infine, la Libia. Qui l’identità berbera, in particolare nell’altopiano del Gebel Nefusa in Tripolitania, è stata riscoperta solo dopo la caduta del regime di Mu’ammar Gheddafi nell’ottobre 2011, dato che il dittatore, fin dalla presa del potere nel settembre 1969, aveva perseguitato gli attivisti libici, il principale dei quali è stato il giurista e poeta Said Sifaw, al secolo Said El Mahroug, che il governo di Tripoli, nel febbraio 1979, tentò di uccidere. L’attentato fallì, ma lui rimase paralizzato. Due anni dopo, nel 1981, Sifaw ed altri quaranta attivisti di Zuara, Iefren e Giado vennero arrestati con l’accusa di voler costituire un partito politico berbero. Alcuni tra gli arrestati furono giustiziati, i più incarcerati, mentre Sifaw fu rilasciato.
Con ogni probabilità, una volta stroncato il movimento berberista che chiedeva il riconoscimento della lingua e profonde riforme politiche e sociali, Gheddafi preferì non creare un martire. L’importante era reprimere l’identità berbera e respingere l’idea di un sistema democratico in Libia. Sifaw poteva continuare a vivere, isolato ed inoffensivo, sulla sua sedia a rotelle. Non faceva più paura. E così è stato fino a quando, nel 1994, Sifaw ha cessato di vivere. Era ancora giovane. Aveva appena 48 anni.
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