La storia di tre teatri livornesi: San marco, Rossini e Politeama
12 Aprile 2017
(Angela Simini) Livorno – 12 aprile. Nel suo fortunato excursus sui teatri di Livorno, dopo il Teatro di San Sebastiano e il Teatro degli Avvalorati, Fulvio Venturi ha rivolto l’attenzione al Teatro Carlo Ludovico (meglio conosciuto come il San Marco, nella foto la facciata recentemente restaurata), al Regio Teatro Rossini e al Politeama, le cui vicende si intrecciano a quelle della Toscana e delle amministrazioni locali, in un affresco vario e non sempre commendevole di impresari, interessi, ristrettezze economiche e inutili sprechi. Ma anche di grandi e generose passioni, di talenti e di eccellenze.
Il teatro Carlo Ludovico, posto in San Marco (del quale Venturi ha mostrato con diapositive l’enorme complesso, spiegandone l’esatta ubicazione, le trasformazioni e le aggiunte successive) fu inaugurato il 27 aprile 1806 e fu gestito dall’Accademia dei Floridi per i primi 4 anni. I livornesi lo hanno sempre considerato uno dei più bei teatri esistenti, dotato di 136 palchetti, decorati da Luigi Ademollo. Conobbe periodi di floridezza e periodi di insuccessi e di chiusura, che è impossibile ripercorrere puntualmente. In questo articolo cercheremo di dare dei flash che facciano luce sullo sviluppo culturale ed artistico di Livorno e sull’ importanza che i teatri rivestirono nel contesto europeo e internazionale, tanto che i grandi nomi non disdegnavano di venire nella nostra città, anzi era una piazza ambita. Un esempio illuminante che vale per tutti è che Niccolò Paganini si esibì al San Marco. Ed ancora: nel 1853 vi fu allestita la seconda edizione del Trovatore e il tenore Carlo Baucardé, che fece la prima puntatura sul do sovracuto della “pira”, raggiunse in seguito la celebrità, come tanti altri cantanti, che trovarono nel San Marco un trampolino di lancio. Eppure nel 1867 il teatro fu chiuso, il De Larderel non ce la fece più a sostenere le spese eccessive dei restauri, per cui, dalla metà degli anni 1875 inizia una serie di messe al bando finché il Comune non lo acquista nel 1881: da allora fu trasformato in magazzino. Ma i guai proseguono: il palco crolla. E così rimase fino al 1921, quando i socialisti dissidenti lasciarono il Goldoni e si diressero al San Marco, che il Comune aprì in quell’occasione storica in cui nacque il Partito Comunista. Ironia della sorte: pioveva e il tetto mal ridotto non proteggeva i convenuti, che se ne dovettero stare con l’ombrello aperto. Ma vediamo altri eventi, nel febbraio 1881 Pietro Mascagni vi fece eseguire la sua composizione giovanile “In Filanda” e nel 1921 avrebbe voluto dare “Il Piccolo Marat”. Era suo amico Armando Tanzini (presidente della Corale Guido Monaco), che si fece carico dei restauri necessari e rese possibile la riapertura del teatro nel 1923, che avvenne sotto i migliori auspici, con grandi rappresentazioni: Andrea Chenier, la Fedora… Nel 1925 si tenta di dare “I Baccanali di Roma”, ma il terremoto impedì lo spettacolo. Infine nel 1928 il teatro passa all’Ordine Nazionale del Dopolavoro.
Ultimo atto del teatro: nel ’43 viene bombardato, i ruderi restano del comune. Per i restauri occorrono 300 milioni, che vengono invece destinati alla costruzione del Palazzetto dello Sport. Oggi restano le mura del glorioso teatro, la elegante facciata, mentre i locali sono adibiti ad asilo per i bambini.
Il Regio Teatro Rossini, il più sconosciuto dei teatri livornesi, sorse in una zona centralissima della città, sull’area dell’abbattuto “Casone” per iniziativa di una società di livornesi che si costituirono nella Accademia dei Fulgidi, della quale facevano parte Ebrei e Greci (i Mimbelli, i Rodocanacchi…) giunti a Livorno dopo la greco-turca del 1821. “Teatro di estrema dignità ed eleganza” lo ha definito il Venturi che ne ha illustrato la disposizione e la funzionalità. Ed ha citato a memoria le stagioni liriche che ha allestito. Tra alti e bassi nella sua attività si giunse al 1900 quando tutti i referenti economici del teatro erano venuti meno, anche se continuò a fare vita a memorabili rappresentazioni. Dopo periodi di chiusura, alternati con la bella stagione del 1923-24 (quando si allestirono opere di Mascagni: Amica, Silvano, Zanetto e 12 repliche del Ratcliff), la sala non si riaprì più, se non per sporadiche occasioni, come i concerti della pianista russa Elisabetta Sangursky, erede diretta della scuola di Cajkovskij, viveva a Livorno dove insegnava pianoforte.
Di lei, come pure del marito, un medico molto conosciuto, alcuni livornesi in grige chiome conservano un caro ricordo! Purtroppo anche questo teatro ebbe in sorte la stessa fine del San Marco e dell’Avvalorati:
il 28 giugno del ’43 fu selvaggiamente bombardato. Dopo altri crolli, per paura di altri disastri, le truppe americane nell’inverno del ’46 lo fecero implodere: oggi al posto dell’elegante e raffinato teatro sorge Banca Etruria!
Non fu bombardato durante la guerra, ma abbandonato al suo destino dai livornesi, poi smantellato e abbattuto negli anni Sessanta il Politeama, che era stato costruito da un imprenditore livornese nel 1875, quando in Francia era sorto un altro genere di spettacolo, l’Operetta, che attingeva al genere lirico e all’opera buffa: si cantava sul serio e la parte comica era in prosa, in più si vedevano le gambe delle ballerine, particolare non da poco, che attirava il pubblico e che faceva chiudere un occhio anche alle mogli! Il teatro ebbe struttura polifunzionale, adatta al ballo, all’opera, all’operetta e in seguito alla rivista e al cinema. Ebbe fino al Novecento una produzione intensa, addirittura due stagioni liriche l’anno, poi all’inizio del nuovi secolo ci fu una vicenda incresciosa tra l’impresario Ferrarini e il giovane compositore, Raffaele Del Frate, autore della musica della Tempesta, libretto di Ugo Fleres: l’opera non fu data e la vicenda finì in tribunale. Il Politeama restò chiuso per tre anni. Dopo la riapertura si registrarono ancora successi e fiaschi con alterne sorti, con grandi produzioni e cantanti di prestigio. Tra le cose memorabili, ricordiamo che nel 1924 ospitò la prima rappresentazione del Piccolo Marat di Pietro Mascagni.
Dopo la guerra il Politeama si avviò verso il declino. Come commenta Venturi: “Se confrontata con la scomparsa dalla mappa cittadina di altri teatri storici, una sorte meno violenta, ma ugualmente infelice, ha toccato il Politeama. Col bombardamento dei tre teatri San Marco, Rossini e Avvalorati, fu avanzata un’ipotesi per la ristrutturazione del teatro che era rimasto illeso. Ma “Le tipologie degli interventi non sono note e neppure la loro entità…” espone ancora Venturi e conclude: “L’ultimo spettacolo operistico allestito al Politeama fu una produzione di Fedora, febbraio 1947, con Galliano Masini e Rina Corsi ai ruoli primari”.
Fu il canto del cigno del teatro, la situazione, dopo l’inaugurazione del Teatro La Gran Guardia nel 1953, peggiorò e al Politeama restavano le solo le seconde visioni e i “varietà”. Negli anni Sessanta, quando fu concessa l’autorizzazione per l’abbattimento dell’immobile, la situazione della sala era degradata, ma non rovinosa. Eppure non se ne fece di nulla! asimini@alice.it
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