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26 Novembre 2024

Casa Italia, progetto di Renzo Piano su periferie e scuole


(Ruggero Morelli) – Per il progetto ‘Casa Italia” diretto dal professor Azzone è stato stanziato più’ di un miliardo di euro. Quindi ora è definitivo e si parte con la realizzazione del progetto.
Nell’ottobre 2016 si cercò di superare il luogo comune che il ”terremoto è una fatalità” con una analisi più aderente alla realtà. Ecco quanto pubblicò il Sole 24 ore riportando le tesi di Renzo Piano (nella foto: nello studio di Palazzo Giustiniani), che aveva redatto il progetto:
http://mobile.ilsole24ore.com/solemobile/main/art/cultura/2016-09-30/la-terra-trema-ecco-mio-progetto–154933.shtml?uuid=ADo2aWSB&refresh_ce=1
“Dobbiamo difenderci dal terremoto: ecco il mio progetto generazionale. C’è un intruso da allontanare una volta per tutte, una parola insidiosa che ricompare ogni volta che in Italia si verifica un terremoto. Parlo del fantasma sempre evocato della fatalità. Di fatale c’è solo che i terremoti ci sono sempre stati e sempre ci saranno. Purtroppo. La terra trema. E la natura non è né buona né cattiva. È semplicemente, e brutalmente, indifferente alle nostre sofferenze. Non se ne cura. Ma noi abbiamo una grande forza, una forza che la stessa natura ci ha dato in dono: l’intelligenza.
Parlare di fatalità è fare un torto all’intelletto umano. La storia insegna: ci siamo sempre difesi, con porti, dighe, argini, case e con la medicina. Tocca a noi, al senso di responsabilità, investire la giusta energia nella messa in sicurezza delle nostre case. Che poi siamo noi stessi, perché se cerchi l’uomo trovi sempre una casa. La casa è il luogo della fiducia, il rifugio dalle paure e dalle insicurezze. Molto di più che un semplice riparo dal freddo e dalla pioggia. Non possiamo più allargare le braccia invocando l’ineluttabilità del destino. Questo comportamento è un insulto alla natura stessa: quella dell’uomo. Che, per l’appunto, è homo sapiens. Abbiamo il dovere di rendere meno fragile la bellezza dell’Italia ingentilita e antropizzata dai nostri antenati”. La notizia apparsa sulla stampa mi da l’occasione per ricordare che con gli altri due progetti il senatore Piano ha dimostrato di saper svolgere un ruolo pubblico che deriva da una grande esperienza maturata durante il lungo lavoro di architetto .
I progetti sono “il rammendo delle periferie” e “la scuola che vorrei”.
Trascrivo di seguito due note dedicate a questi due progetti che possono determinare un metodo per il nostro futuro.
1.- Le periferie.
G124 sta per Palazzo Giustiniani, piano 1°, stanza 24.
Qui Renzo Piano ha messo la sede del progetto “rammendo delle periferie”, dove ha lo studio di Senatore.
Il progetto, avviato nel gennaio 2014, si finanzia con l’indennità di Piano.
Tre interventi: Stazione Serpentara a nord-est di Roma; la Borgata Vittoria a Torino; il Librino a sud di Catania. Aree degradate con ampi spazi abbandonati, presenze di immigrati con frange criminali, alcune opere pubblicate lasciate a metà e costruzioni abusive.
Il criterio seguito dai tre collaboratori di Piano – Massimo Alvisi, Maurizio Milan e Mario Cucinella – ha previsto il preliminare incontro con le varie associazioni, comitati, parrocchie ecc. presenti nell’area scelta.
‘’Non è affatto vero che nelle periferie manchi uno spirito identitario’’- dice l’arch. Alvisi – ‘’Esiste ed è molto forte soprattutto tra i giovani. Ma a tale spirito non corrisponde la struttura urbana perché mancano luoghi di aggregazione capaci di diventare anche simboli di quella porzione della città.’’
Le idee per il recupero di aree incolte o opere abbandonate sono venute pian piano ed i mezzi per i lavori sono arrivati quando dagli enti locali, quando dalle associazioni e fondazioni, quando dai cittadini e dal loro impegno diretto.
Librino (Catania) era il sogno degli anni ’70 di un grande progetto di Kenzo Tange, allora il più celebre architetto del mondo. Fu sull’orlo di partire per un’operazione definita felice. Ma la presenza dell’aeroporto con i suoi rumori fece accantonare l’idea e presto l’area fu devastata dall’abusivismo edilizio, non contrastato dalle autorità medesime che avevano voluto il progetto. Per il recupero di una palestra abbandonata dal 1997 si sono mossi:Ance, Confindustria, Tecnis, Accademia Abadir. Davanti all’impianto è stato coperto un vecchio pergolato che è diventato il polo di aggregazione che mancava. Qui le varie anime del quartiere hanno ricominciato a parlare e collaborare. Gli orti che erano una decina sono diventati oltre cinquanta.
A Serpentara e Vigne nuove (Roma), lo spazio sotto il viadotto, dove era prevista una linea di tram mai realizzata, è stato usato per creare laboratori per artigiani e giochi per bambini; anche alcuni clochard si sono messi a disposizione ed hanno capito che dopo avrebbero avuto un ambiente più accogliente.
A Borgata Vittoria (Torino) con l’aiuto di molte energie trovate sul posto (associazione Pinto, coop sociale Agridea, Angelo Zucchi parroco) è stato ripulito il ‘’parco senza nome’’, dotato poi di una struttura coperta per renderlo fruibile con la pioggia o il sole, di rastrelliere per bici, di vasche per coltivare erbe; una spianata di cemento è stata trasformata in spazio verde con un orto coltivato dai ragazzi i cui frutti vanno alla mensa della Caritas, e sui muri si dipingono scene per dare un po’ di colore al suburbio.
La tappa finale di questo intervento doveva essere quella di consentire ai privati del posto di prendere in ‘adozione’ dal Comune alcuni spazi per manutenerli al meglio. Si è anche tenuto un convegno, racconta la giovane architetta Federica Ravazzi dello studio Piano, al quale hanno partecipato amministratori di Roma, Ferrara e Bologna.
Purtroppo per ora è stato possibile soltanto affidare l’area davanti alla scuola Cafasso perché sono sorte complicazioni burocratiche col comune.
In una nota i gruppi di lavoro che si raccolgono intorno allo studio di Renzo Piano sostengono che il futuro urbanistico “non può che consistere nel riutilizzo delle strutture esistenti “ visto che demolire costa e non è il caso di espandere ancora le città con sistemi di trasporto pubblico già carenti. E anche dal punto di vista umano, è sulle periferie, “dove cresce la stragrande maggioranza dei giovani”, che si deve investire. Partiamo da alcuni punti di ‘bellezza’ che anche nelle periferie esistono”. Dicembre 2014.
2.- La scuola che vorrei
L’occasione è scaturita da quanto scrisse circa un anno fa Franco Lorenzoni, pedagogista: ‘Cari architetti rifateci le scuole’.
Unendo le competenze di Lorenzoni e Crepet, Renzo Piano ha realizzato un prototipo di scuola del futuro.
In premessa della descrizione dei criteri per la costruzione, c’è l’indicazione delle periferie come luoghi da preferire.
Infatti se nei prossimi decenni si devono ‘’trasformare le zone periferiche in pezzi di città felice‘’, queste vanno disseminate di luoghi di incontro, di aggregazione dove si ‘”celebra il rito dell’urbanità”.
Ed allora le nuove scuole si facciano in periferia come gli auditorium e gli ospedali. Infatti la città che funziona è quella dove si dorme, si lavora, ci si diverte e soprattutto si va a scuola; un luogo dove devono passare tutti. Quindi gli edifici scolastici possono aiutare quel ‘rammendo delle periferie’ che prima che edilizio è sociale.
Passiamo al progetto che si articola in tre livelli: il piano terra sarà sollevato e trasparente con un giardino al centro, sul quale si affacciano l’auditorium, i laboratori e la biblioteca. Il primo piano: qui le aule, e pensando a ragazzi 3-14 anni, alcuni spazi per facilitare lo scambio di esperienze. Senza corridoi.
Il tetto: un ambiente un po’ fantastico tipico dei sogni dei bambini. Il luogo della scoperta, della invenzione, e della fuga dalla città. Quindi se il piano terra è dove avvengono gli scambi con gli altri, il tetto è dove ognuno coltiva il suo immaginario. Immagino spazi come quelli che troviamo alla Villette di Parigi. Il prototipo potrà fungere da ispirazione per i progettisti delle scuole, che parteciperanno al bando Miur già approvato. ottobre 2015.
ruggeromorelli@libero.it