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24 Novembre 2024

Corsica, l’isola dalla forte identità che guarda Livorno dal mare e chiede di essere libera


(Marco Ceccarini) Bastia, 9 dicembre 2018 – Il Palazzo dei Governatori di Bastia, sede del Museo dell’Alta Corsica, ospita fino al prossimo 22 dicembre, il sabato prima di Natale, la mostra “Identità, i corsi e è migrazione” dedicata al rapporto tra la Corsica e la migrazione. Lo scopo è dimostrare che l’identità corsa, nonostante i forti flussi migratori, si è preservata attraverso i secoli caratterizzando l’isola in modo del tutto particolare.

In Corsica, in effetti, il fenomeno della migrazione, sia attivo che passivo, è stato così forte, così intenso, che i tratti fondamentali della popolazione, nel tempo, potevano essere anche stravolti. Invece l’identità non è mai stata ai messa in discussione, mai snaturata, perché chi è arrivato si è sempre inserito senza pretendere di mutare usi e costumi.
Eppure, negli ultimi anni, qualcosa è cambiato. L’alto numero di immigrati giunti dai Paesi islamici, in particolare dalle ex colonie francesi, pone infatti problemi e tensioni prima sconosciute. Quanto accade sull’isola, sia chiaro, non è minimamente assimilabile a quanto avviene nel resto della Francia. Ma anche in Corsica, dove dopo oltre due secoli l’annessione alla Francia è ancora vissuta come una sorta di colonizzazione, ci si interroga sulle eventuali derive radicali dell’islam, anche se proprio la forte identità, finora, è risultata essere il miglior antidoto ad ogni tipo di degenerazione sociale.

L’agenda politica corsa, in ogni caso, continua a mettere al centro del dibattito il distacco dalla Francia, anche se le bombe indipendentiste non esplodono più e il Fronte di liberazione nazionale corso, o Flnc, ha rinunciato nel dicembre 2014 alla lotta armata.
La lingua corsa, di origine italiana, viene oggi insegnata nelle scuole ed è la lingua dell’isola accanto al francese. L’università della Corsica, riaperta nel 1981 a Corte, è il centro dell’elaborazione teorica del nazionalismo. I toponimi e le tradizioni ricordano che le radici sono italiane. La volontà di ricollegarsi alla propria storia è forte ed evidente.

La Corsica, possedimento di Pisa prima e di Genova poi, è stata indipendente nella seconda metà del Settecento per iniziativa di Pasquale Paoli, prima di essere inglobata dallo Stato francese. Dopo un breve protettorato inglese, l’isola è sempre stata della Francia con l’eccezione dell’occupazione italiana durante il secondo conflitto mondiale. La lingua amministrativa è stata l’italiano fino al 1859 e all’università di Corte, prima che venisse chiusa nel 1779, le lezioni erano in italiano. La popolazione corsa, sconfitta ma non sottomessa, ha sempre creato focolai di ribellione contro i francesi, senza parlare dell’irredentismo italiano, che è stato attivo fino a metà Novecento.
“C’è ancora una parte della popolazione che desidera riconnettersi alle proprie origini italiane”, spiega Gjiuvan Ranieri, presidente di Corsica Radici, un’associazione il cui fine è trovare finanziamenti e sovvenzioni per favorire l’arrivo in Corsica di italiani e in particolare di genia corsa. Secondo Ranieri la Corsica dovrebbe essere uno Stato associato all’Italia: “Indipendente, sì, ma affiliato all’Italia”.

Negli anni Settanta, esattamente nel maggio 1976, in un luogo altamente simbolico per il nazionalismo corso, il convento di Casabianca dove Paoli aveva proclamato lo Stato libero nel luglio 1755, gli indipendentisti costituirono il Fronte che, fin da subito, prese a compiere assalti ed attentati ad uffici postali, banche ed istituzioni. Nel gennaio 1978 attaccò addirittura la base Nato di Solenzara nei pressi di Porto Vecchio, la terza città dell’isola dopo Ajaccio e Bastia. E nell’agosto 1982 organizzò la conferenza internazionale dei movimenti di liberazione nazionale.
La vicenda del Fronte è stata contraddistinta, negli anni Ottanta e Novanta, da scioglimenti, scissioni e ricostituzioni, ma anche da attentati, molti attentati. E questo accadeva mentre, negli anni Novanta, iniziavano a sorgere i primi partiti indipendentisti, tra cui Corsica Nazione e il Partitu Naziunalista, che cominciavano a partecipare alle elezioni locali. Partiti che, tutti o quasi, si trovano oggi riuniti nel cartello Corsica Libera che governa l’isola con la coalizione Femu a Corsica composta da regionalisti ed autonomisti.

Se tra il dicembre 2014 e il maggio 2015 il Fronte ha annunciato una tregua, dopo aver compiuto attentati ed azioni dimostrative fino al 2013, è perché, con il successo degli indipendentisti, si è compreso che, se prima erano necessarie le armi, oggigiorno hanno più senso la politica e la diplomazia. Ma il Fronte, ancora clandestino, rimane attivo e pronto a tornare alla lotta armata, qualora fosse necessario, sia contro la Francia che contro eventuali degenerazioni islamiche.

Gli autonomisti di Femu a Corsica e gli indipendentisti di Corsica Libera sono al governo dell’isola dalla fine del 2012 e hanno stravinto, in coalizione, anche la tornata elettorale del dicembre 2017. A guidare il governo regionale c’è l’autonomista Gilles Simeoni, mentre il presidente dell’Assemblea corsa, Ghjuvan Guidu Talamoni, indipendentista, è un avvocato che prima di darsi alla politica ha difeso gli attivisti del Fronte nei tribunali di mezza Francia. Il loro programma prevede una forte autonomia regionale, anche se gli indipendentisti, in realtà, puntano al distacco dalla Francia, magari pacifico e condiviso, ma pur sempre distacco.
“Solo una forte determinazione, un progetto condiviso, può far nascere una Corsica libera ed indipendente”, spiega Johan Bernardini, militante di Corsica Libera ed co-amministratore del gruppo Italia e Corsica presente su Facebook. “Al popolo corso e ad alcuni suoi rappresentanti non mancano l’identità culturale e la volontà politica”.
Proprio l’identità culturale e la volontà politica potrebbero favorire uno sbocco condiviso, che potrebbe sostanziarsi in una Collettività indipendente simile alla Nuova Caledonia rispetto alla Francia o in uno Stato associato tipo Portorico con gli Stati Uniti.

Ma il percorso è irto di ostacoli. La Corte d’assise di Parigi, in estate, ha condannato al carcere sei dei nove nazionalisti che erano stati accusati di aver compiuto una decina di attentati dinamitardi nel 2012. Tali attentati, senza vittime, erano stati rivendicati dal Fronte, che aveva agito contro le residenze secondarie e la speculazione edilizia su cui oggi molti chiedono una legge simile a quella approvata a settembre in Alto Adige che vieta ai non residenti di acquistare una seconda casa di nuova costruzione. Gli indipendentisti avevano chiesto l’amnistia per tutti sostenendo, come ha scritto il quotidiano in lingua italiana Corsica Oggi, che dopo la fine della lotta armata “questo è uno dei più grandi processi contro il Flnc”. Avevano anche presentato una mozione all’Assemblea regionale per affermare che “questi processi riguardano fatti relativi ad un’epoca passata e quindi costituiscono una forma di anacronismo”. La sentenza di Parigi, pertanto, rischia di compromettere tutto, con la possibilità che nella società corsa si mettano in moto dinamiche finora sconosciute.

La rottura di tale equilibrio, tuttavia, non dovrebbe aprire la strada al radicalismo islamico. Questo, almeno, è quello che pensa Massimiliano Fabbri, storico ed esperto di questioni corse, docente presso l’Università di Siena, secondo cui “la forte identità corsa rappresenta un argine”, anche se evidenzia: “Quello dell’integrazione è comunque un punto delicato su cui occorre interrogarsi e riflettere”.

Quello del rapporto con gli immigrati e la loro integrazione è un problema che investe la Francia, di riflesso anche la Corsica, da decenni. E’ il punto di arrivo di una vicenda i cui sviluppi sono stati in realtà chiari fin da subito. Già nel 1980 il segretario dei comunisti francesi, George Marchais, chiese il blocco dei flussi migratori, auspicando una regolamentazione poiché temeva che l’alto numero di immigrati, disposti a lavorare con minori diritti, avrebbe provocato l’abbassamento dei salari e delle garanzie sociali favorendo, all’occorrenza, la delinquenza comune e il terrorismo. Ma Marchais non fu ascoltato. Il leader dei socialisti, François Mitterand, lo accusò anzi di razzismo. E la Francia imboccò la strada che poi finora ha percorso.

In Corsica, come evidenzia la mostra bastiese, la Francia ha sempre incentivato l’arrivo di uomini e donne. Nei primi del Novecento, da Paesi europei che non fossero l’Italia, in particolare dal Portogallo, per far uscire l’isola dallo spazio culturale italiano e per integrarla nel suo contesto sociale. Dopo l’indipendenza delle colonie, a partire dagli anni Cinquanta, di molti ex coloni francesi espulsi dal Magreb. Dagli anni Settanta, inoltre, di cittadini provenienti da Marocco, Algeria, Tunisia, Senegal ed altri Paesi di tradizione islamica. Con il risultato che, oggi, il dieci per cento della popolazione corsa è formata da immigrati e la grande maggioranza di questi è araba od africana di religione musulmana.

I musulmani corsi, in linea generale, sono integrati nella società. Ci sono barbieri, artigiani, negozianti, pescatori, operai, impiegati, tutti di religione e cultura islamica, così come professionisti, sportivi, intellettuali e docenti. Non creano particolari problematiche. Eppure non mancano i radicalizzati, coloro che sono attratti dalla jihad, la guerra santa. Il loro numero è in aumento.
Sul rapporto con l’islam radicale, tuttavia, il Fronte è stato chiaro. Se gli islamici pensano di esportare la jihad in Corsica, sarà guerra totale. E la minaccia non va sottovalutata. Non solo perché, in quarant’anni di attività clandestina, l’organizzazione ha dimostrato di saper condurre con efficacia la sua lotta contro i simboli della Francia, cosa che potrebbe essere ripetuta senza problemi contro l’Isis, ma anche e soprattutto perché il Fronte, nonostante la tregua, è agguerrito e pronto a reagire.
La dichiarazione di guerra all’Isis è ufficialmente arrivata nell’ottobre 2015, qualche mese dopo l’attentato al periodico satirico parigino Charlie Hebdo, quando attraverso un comunicato inviato al giornale Corse Matin il Fronte ha minacciato rappresaglie nei confronti degli islamisti radicali in caso di attacchi in Corsica. Al tempo stesso ha chiesto ai musulmani corsi di segnalare ogni tipo di deriva islamista. Nel monito, si legge: “Sappiate che ogni attacco contro il nostro popolo vedrebbe da parte nostra una risposta determinata senza scrupoli”. Nello stesso comunicato, però, non sono state risparmiate critiche al governo centrale: “La Francia deve cessare la sua propensione ad intervenire militarmente ed a voler dare lezioni di democrazia al mondo intero, se vuole evitare che i conflitti che essa semina nel mondo non ritornino come un boomerang sul proprio suolo”. E tali indirizzi sono stati confermati all’indomani dell’attentato al Bataclan di Parigi.

Senza arrivare ad operazioni di tipo militare o paramilitare, e neppure a sanguinose rappresaglie del Fronte, gli islamisti hanno avuto dimostrazione della capacità di reazione del popolo corso già in diverse occasioni.

Due anni fa, nell’agosto 2016, sulla spiaggia di Sisco, nel cantone di Capo Corso, un sabato pomeriggio alcuni marocchini, dopo aver infastidito dei turisti e tirato pietre a una donna in bikini, aggredirono un gruppo di ragazzini del luogo al grido di “Allah akbar”. Un marocchino tirò fuori addirittura un machete e un altro lanciò un arpione. Gli uomini del paese, intervenuti per dare man forte ai giovani, accerchiarono i magrebini e li consegnarono alla Polizia. Il giorno dopo tutta o quasi la popolazione del paese, circa seicento persone, si riunì davanti al Comune mostrando una straordinaria coesione. Inevitabile ed immediata arrivò la solidarietà da Parigi.
Eppure pochi mesi prima, nel dicembre 2015, ad Ajaccio era accaduto un altro episodio, altrettanto grave, rispetto al quale, però, la reazione di politici, istituzioni e media era stata contraddittoria. Alcuni vigili del fuoco erano stati aggrediti, a sorpresa, da una sessantina di persone incappucciate ed armate appartenenti a gruppi islamici. Fortunatamente non vi erano stati feriti. Anche lì la reazione popolare era stata immediata ed anche lì, il giorno dopo, la popolazione si era riunita davanti alla Prefettura ed aveva effettuato una marcia di protesta a cui, in segno di pacificazione, avevano partecipato anche esponenti della locale comunità islamica. Ma le istituzioni, classificando l’episodio come semplice criminalità, avevano condannato l’attacco senza appoggiare la spontanea reazione della gente.

I fatti di Sisco e di Ajaccio, al di là delle differenti reazioni della stampa francese e delle istituzioni, hanno fatto e fanno capire come la gente, in Corsica, abbia una reattività sociale che altrove è ormai quasi del tutto assente. I corsi non sono afflitti da quella malattia autoimmune che invece sembra minare le altre popolazioni europee, a cominciare da quella francese. Proiettati verso il supremo obiettivo della sovranità nazionale, confermandosi in questo il popolo più coerente d’Europa, essi sono pronti a combattere contro chiunque possa minacciare il loro sogno, siano essi i governativi di Parigi, siano essi i jihadisti e tutti gli islamici radicali.