Due film da Oscar parlano del passato dell’America
6 Aprile 2021
(Donatella Nesti) Los Angeles, 6 aprile 2021 – Alcuni titoli dei quotidiani hanno sottolineato come i due film ‘Mank’ e ‘Il processo a Chicago 7’, entrambi candidati all’Oscar, abbiano uno sguardo rivolto al passato, un gusto retrò che sembra nostalgia in un momento di incertezza sul futuro non solo del cinema ma del pianeta nella morsa della pandemia. Mank (10 nominations) di David Fincher, con un suggestivo bianco e nero, rievoca la Hollywood degli anni ’30 attraverso gli occhi del graffiante critico sociale e sceneggiatore alcolista Herman J. Mankiewicz, mentre si affanna a finire il copione di Quarto potere per Orson Welles. Mank è interpretato da uno strepitoso Gary Oldman, candidato all’Oscar, ex giornalista e critico teatrale che lascia la Grande Mela per l’assolata Los Angeles dove, insieme ad un gruppo di giovani sceneggiatori, contribuì a fare di Hollywood la fabbrica dei sogni, prima alla Paramount e poi alla Metro-Goldwyn-Mayer.
Il processo ai Chicago 7 (The Trial of the Chicago 7) 6 candidature, è scritto e diretto da Aaron Sorkin. Con Sacha Baron Cohen, Joseph Gordon-Levitt, Frank Langella, Eddie Redmayne, Mark Rylance, Michael Keaton. La guerra del Vietnam impazza continuando a mietere vittime innocenti quando, in occasione della convention del Partito Democratico, un gruppo di attivisti guida una manifestazione contro Nixon e la sua scelleratezza bellica. Lo scontro tra manifestanti, polizia e Guardia Nazionale, era prevedibile, ma ciò che non era stato previsto è un processo/farsa dal sapore chiaramente politico che segna una pagina nerissima (e molto nota) della storia americana. In un colpo solo il governo del neo-eletto presidente Nixon tenta di eliminare l’opposizione sradicando la controcultura di sinistra attraverso l’incriminazione dei suoi leader, accusati ingiustamente di cospirazione e incitamento alla sommossa. 7 dei leader della dimostrazione vengono incriminati dalla nuova amministrazione Nixon per cospirazione e viene anche incluso Bobby Seale, leader del movimento dei Black Panthers, che il giorno della dimostrazione, stava facendo un discorso a Chicago. Il Processo si rivela subito estremamente ostile verso gli imputati e gli avvocati Kunstler e Weinglass, capiscono da subito (senza volerlo ammettere davanti agli altri) che si tratta di un processo politico a tutti gli oppositori della guerra in Vietnam.
Bravissimi gli attori, tra i sette spiccano soprattutto i due yippies Abbie Hoffman e Jerry Rubin (rispettivamente Sacha Baron Cohen e Jeremy Strong, entrambi strepitosi), il pacifista convinto David Dellinger (John Carroll Lynch) il moderato Tom Hayden (Eddie Redmayne), ed anche gli avvocati (tra cui Mark Rylance) finiranno presto col perdere la pazienza e a rendere il processo un vero e proprio evento dall’importante risonanza mediatica contrapponendosi al giudice Julius Hoffman, un Frank Langella perfetto tanto da risultare veramente odioso. Il film parla del ’68 ma si riferisce anche all’America di oggi dove razzismo, intolleranza, discriminazione sono ancora ben lontani da raggiungere la democrazia scritta nella Costituzione e reclamizzata dai leader politici.
Entrambi i film sono ora disponibili in streaming sulla piattaforma Netflix che dopo avere vinto molti Golden Globe si prepara a vincere anche gli Oscar nella notte del 25 aprile. Gli Screen Actors Guild Awards, i premi assegnati dal sindacato degli attori statunitensi, si sono svolti il 4 aprile via Zoom. Alla 27esima edizione dei riconoscimenti, che spesso sono piuttosto indicativi per sancire i favoriti agli Academy Award, ha trionfato Il processo ai Chicago 7.
Massimo Cantini Parrini è per la prima volta candidato all’Oscar, dopo 4 David di Donatello, per i costumi di Pinocchio; il film è candidato anche per il trucco e parrucco (Dalia Colli, Anna Kieber, Sebastian Lochmann, Stephen Murphy). Candidata la canzone Io sì che, cantata da Laura Pausini, chiude La vita davanti a sé di Edoardo Ponti.
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