Giornata della Memoria, Livorno città senza ghetto ricordata al Goldoni
29 Gennaio 2018
Livorno, 29 gennaio. 27 gennaio Giorno della Memoria. Al Teatro Goldoni di Livorno, gremito fino al primo ordine dei palchetti, l’appuntamento è stato commemorato con un titolo speciale: “senza ghetto”. Più e più volte l’ha ripetuto il conduttore della diretta radiofonica, il direttore di Radio 3, Marino Sinibaldi, ed anche i numerosi ospiti intervenuti, studiosi insieme ai testimoni diretti, quest’ultimi appartenenti alle famiglie più in vista di Livorno: Aldo Liscia, Gabriele Bedarida, Pierina Rossi e nonna Edi Bueno, come lei stessa ha detto vuol essere ricordata quando non potrà più raccontare ai bimbi livornesi la sua vita di perseguitata, sotto falso nome, per non essere catturata e deportata nei campi di sterminio nazisti. Tutti, proprio tutti, hanno ricordato che i genitori li avevano ammoniti di non dire mai, nel loro girovagare da paese a paese, di essere ebrei e loro stavano ben attenti, seppur così piccoli, a non farselo sfuggire.
Durante la lunga diretta radiofonica, l’attore Enrico Martino ha letto dei brani, tra i quali la prima parte delle Leggi Livornine (1591/1593) , da cui ebbe origine la peculiarità di questa città, quella di essere la Città delle Nazioni, come ha ricordato il cantautore e scrittore Simone Lenzi aggiungendo che l’identità livornese è intrisa di ebraismo e se non si capisce questo non si capiscono i livornesi.
“E le roschette? Chi può dire di non averle mai mangiate almeno da ragazzi?”. “Livorno paradiso degli ebrei”, ha detto la professoressa Lucia Frattarelli Fischer ricordando che così la definì Johann Caspar, padre del celebre Johann Wolfgang von Goethe quando visitò Livorno. Nel 1601 gli ebrei erano 114 e nel 1808 quasi 5000. Nel Granducato di Toscana erano liberi di studiare, fare i medici, non portavano alcun segno distintivo e, soprattutto, erano tutelati dal diritto sefardita. Gli ebrei, dunque, ha continuato la storica, hanno reso il granducato ricco e prospero, grazie soprattutto al porto di Livorno che garantiva un florido commercio in tutto il mondo.
Il linguista Fabrizio Franceschini ha spiegato il valore sovversivo, soprattutto in epoca fascista, del bagitto, un dialetto giudaico-livornese, con una base assai prossima all’italiano arricchito da parole toscane, spagnole, portoghesi, arabe, greche, arabe, a testimonianza della multietnia che caratterizzò per alcuni secoli Livorno.
Altri interventi hanno ricordato che Livorno assorbì in qualche modo anche le leggi razziali emanate nel ’38, in virtù del fatto che non c’era un ghetto in cui confinare gli ebrei e forse fu per questo che, dopo la firma dell’armistizio, solo 116 persone furono arrestate e deportate nei campi di concentramento nazista. Di essi, torneranno a casa in 16. Un’altra ragione ipotizzata è che nell’ottobre del ’43 la città fu dichiarata zona nera, per la presenza del porto e per i conseguenti continui bombardamenti, e la gran parte della popolazione fu costretta a sfollare in campagna, compresi gli ebrei, riducendo così drasticamente il numero delle persone rimaste in città.
Il presidente della Comunità Ebraica Livornese, Vittorio Messeri, ha chiuso gli interventi ammonendo che la “memoria non è solo passato, ma è presente e futuro e solo così possiamo combattere l’indifferenza che fa volgere il capo dall’altra parte, com’è successo in quegli anni nefasti anche a Livorno. Ricordare questo dà maggior risalto a coloro che, invece, aiutarono gli ebrei a rischio della propria vita e dei propri familiari”. Il Coro “Ernesto Ventura”, diretto dal M° Paolo Filidei, ha, infine, fatto da contrappunto agli interventi con i canti struggenti della tradizione ebraica.
Come si è giunti a ricordare il 27 gennaio, Giorno della Memoria.
Cenni legislativi
“La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, il “Giorno della memoria” al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.” (Legge n. 211 del 20 luglio 2000, art. 1)
Successivamente, anche l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la Risoluzione 60/7 del 1° novembre 2005 – approvata durante la celebrazione del sessantesimo anniversario della liberazione dei campi di concentramento e della fine dell’olocausto – istituì il “Giorno della memoria” quale ricorrenza internazionale da celebrare il 27 gennaio di ogni anno.
Cenni storici (fonti wikipedia)
Il 27 gennaio 1945 le truppe dell’Armata Rossa (60^ Armata del “1° Fronte ucraino”), impegnate nell’offensiva Vistola-Oder, aprirono i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia, liberando i circa 7 mila prigionieri rimasti nel lager.
Il 17 gennaio del 1945, al campo, era stato fatto l’ultimo appello generale dei prigionieri. Con le truppe sovietiche alle porte e non avendo né il tempo né munizioni né gas per ucciderli tutti, i nazisti decisero di trasferire circa 60 mila di essi, considerati più “sani”, costringendoli ad una marcia forzata nella neve, senza cibo, per raggiungere altri campi all’interno della Germania ritenuti più sicuri. Chiunque si accasciasse sulla neve, stremato dalla fatica, veniva finito con un colpo di pistola alla nuca. Si calcola che circa 15 mila persone siano morte durante la cosiddetta “marcia della morte”.
Altre “marce della morte” sono rimaste tristemente famose: tra Flossenburg e Ratisbona di 380 km, Berga e Plauen di 275 km, tra Neuengamme e Sandbostel di 345 km.
Il regime nazista voleva distruggere le prove dei suoi crimini: uccidere i prigionieri e bruciare i documenti d’archivio. Già nel novembre del 1944, infatti, due mesi prima della liberazione, il ministro dell’interno nazista Heinrich Himmler ordinò di distruggere le camere a gas di Birkenau rimaste ancora in funzione, ma non quelle di Auschwitz.
(nella foto, il pubblico al Goldoni). Il Sole 24 ore, in un articolo apparso il 4 marzo 2013, rivela che un nuovo studio condotto dall’Holocaust Memorial Museum di Washington ha catalogato oltre 42.500 siti tra campi di lavoro, campi di prigionia e ghetti creati dal regime di Hitler, oltre ai campi di sterminio, e calcolato tra i 15 e 20 milioni le persone imprigionate o uccise dai nazisti.
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