Mafie in Toscana, il porto di Livorno al centro del traffico di droga e stupefacenti
13 Dicembre 2017
Firenze, 13 dicembre – “La Toscana non è terra di mafia, ma la mafia c’è”. Lo diceva lo scomparso giudice Caponnetto e la ricerca realizzata dalla Normale di Pisa lo conferma. Già dopo i primi mesi di studio si rafforza infatti la consapevolezza che non esistono regioni sul territorio nazionale immuni dalle mafie e dai fenomeni corruttivi. E la Toscana non fa eccezione. La situazione di fatto supera la fotografia scattata da giudici, perché ci sono reati che talvolta non sono qualificati giuridicamente con una matrice mafiosa ma nella sostanza lo sono, ricondotti a gruppi autonomi o singoli individui, ugualmente pericolosi da un punta di vista sociale e che dimostrano l’elevata vulnerabilità di alcuni territori. Pochi e sporadici casi insomma da articolo 416 bis, ma ben più numerose attività criminali a sostegno di associazioni di stampo mafioso. Lo riferisce una note di Toscana Notizie.
Il rapporto della Scuola Normale di Pisa, primo di tre studi concordati dalla Regione con l’ateneo fino al 2018, è stato approvato a luglio dalla giunta regionale. L’ha curato la professoressa Donatella Della Porta, con la collaborazione di Andrea Pirro, Salvatore Sberna e Alberto Vannucci.
L’indagine è innovativa e sperimentale nella metodologia e nel focus, ma anche nel processo che lo guida, partecipativo. La ricerca ha visto infatti il coinvolgimento delle principali istituzioni impegnate in Toscana nell’attività di prevenzione e contrasto fenomeni criminali esaminati. I risultati e punti salienti sono stati messi in evidenza oggi, nel corso di una conferenza stampa, dal presidente della Toscana Enrico Rossi assieme all’assessore alla presidenza e legalità Vittorio Bugli.
Mercati illeciti e capitali ‘ripuliti’
Gli interessi dei clan criminali sono duplici: far affari ma anche reinvestire il frutto di attività consumate altrove. Da un lato ci sono così i mercati illeciti, fin troppo fiorenti e vasti anche in Toscana da non attirare gli appetiti di gruppi criminali ben organizzati come le mafie storiche italiane o le mafie straniere, e dall’altro ci sono i capitali illeciti, che inquinano l’economia della Toscana.
Ecco così che il porto di Livorno si evidenzia come hub di ingresso per i traffici in larga scala di droghe e stupefacenti. Quello toscano è tra i mercati più fiorenti tra le regioni italiane, in mano non ad una ma più organizzazioni; ma la Toscana e il porto di Livorno sarebbero uno snodo centrale soprattutto nel traffico internazionale di stupefacenti in ingresso in Europa, in particolare quello di cocaina, diretto da organizzazioni in gran parte riconducibili all”ndrangheta calabrese.
Ecco la connessione, forte, tra gioco d’azzardo e usura, riconducibile al clan dei ‘casalesi’ e alla malavita casertana, mentre pochi (a Prato nella comunità cinese, in Versilia, Lucchesia e Valdarno) si dimostrano i casi di pizzo e estorsione. Ecco lo sfruttamento della prostituzione, legato a fenomeni di tratta e riduzione della schiavitù, con un ruolo prevalente di gruppi stranieri rispetto a quelli italiani. Ecco il caporalato e lavoro irregolare, con la Maremma e il Senese più esposti di altri territori, e ultimo ma non certo meno grave il traffico di rifiuti. La Toscana, secondo le statistiche raccolte e rielaborate ogni anno da Legambiente, si posiziona infatti tra le prime regioni in Italia per fenomeni di criminalità ambientale, anche se va detto che, come accade per molti indici che partono dalla misura di denunce e azioni penali, le regioni più virtuose sul fronte dei controlli sono anche quelle che rischiano di più il possibile paradosso di presentare un numero più elevato di violazioni.
Pochi gli omicidi di matrice mafiosa, in particolare concentrati nei primi anni Novanta. Tra gli ultimi ce n’è uno a Tirrenia, nel 2015, legato a traffici di stupefacenti.
C’è poi la criminalità che non solo approfitta dei mercati illeciti, ma viene anche a sciacquare e ripulire in Toscana i capitali frutto di attività consumate altrove. La ricerca offre al riguardo una prima ricognizione. Gli investimenti, ingenti e diversificati, riguardano turismo, commercio e settore immobiliare, ancora il principale canale di investimento e riciclaggio della mafie storiche. C’è poi un’imprenditorialità mafiosa e criminale che riguarda lo smaltimento dei rifiuti, il tessile, le confezioni e l’edilizia, senza escludere a priori possibili forme di complicità e collusione con l’amministrazione pubblica.
Beni confiscati
La ricerca mostra anche una mappatura dei beni sotto sequestro o confiscati ad associazioni criminali. Il dato, aggiornato ad oggi, ci dice che sono 451, di cui 64 già riutilizzati per uso sociale. Le aziende confiscate sono 46, in gran parte ancora da destinare. Il grosso delle aziende si concentra a Prato e provincia, Lucca, Livorno e Firenze.
Certo, indicano gli studiosi, la possibile espansione dello strumento della confisca strumenti ad altre forme di reato impone la ricerca di soluzioni per superare le criticità legate ai tempi di assegnazione. Pochi sono infatti i beni per cui è stata decisa l’assegnazione definitiva. La tenuta di Suvignano, in provincia di Siena, è un caso emblematico. L’anno scorso è stata firmata un’intesa per la sua gestione con un progetto pilota di agricoltura sociale ma ancora manca l’ultimo passo.
Corruzione
La vulnerabilità di certi territori e mercati, come quello degli appalti pubblici, interessa anche le istituzioni. La ricerca passa così in rassegna alla fine anche il fenomeno della corruzione, incrociando i dati dei tribunali con quelli delle notizie apparse sui media. Si parte dalla Toscana, per poi successivamente allargare il raggio a tutta l’Italia. Gli enti locali, emerge chiaramente, sono il livello che resta più vulnerabile.
I numeri raccontano una netta linea di tendenza verso la crescita dei reati contro la Pa e in particolare dei reati di corruzione ad Arezzo (dove sono più che triplicati, passati da 36 a 113), a Firenze, Lucca e Prato; sono stabili invece a Livorno, Pisa e Siena. Almeno 21 processi per corruzione, sei per concussione e 39 per peculato sono stati avviati nei tribunali toscani tra il 2014 e 2015. Spiccano, dopo la provincia aretina, i ben 13 processi per corruzione avviati a Firenze, i 12 per peculato a Grosseto, i 13 sempre per peculato a Pistoia.
La ricerca non ha solo lo scopo di scattare una fotografia. La mappatura aiuterà a comprendere quali settori della pubblica amministrazione e quali funzioni e procedure siano più vulnerabili. Irpet e l’Osservatorio regionale sugli appalti, che collaborano, hanno elaborato dei primi indicatori di anomalia a partire da un’analisi di tutti i contratti banditi dalle amministrazioni pubbliche che operano in Toscana. Questi indicatori di rischio saranno messi a disposizione sia delle amministrazioni – per aiutarle nell’elaborazione dei piani anticorruzione previsti dalla normativa nazionale – sia di tutta la società civile, che così potrà vigilare sui comportamenti delle istituzioni pubbliche.
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