L’ingiustizia
17 Febbraio 2017
(Giovanni Marino) Livorno, 17 febbraio – Sono passati quindici anni da quel 17 febbraio 2002, quando alcuni giornalisti livornesi vennero prima provocati ed offesi, quindi aggrediti da alcuni “tifosi” entrati non si sa come in tribuna stampa, poi fatti passare da “provocatori” da colleghi giornalisti locali, infine nuovamente assaliti e colpiti da pseudotifosi, nelle aree riservate alla stampa dello stadio di Pisa, dove quel giorno, domenica, si giocava il derby tra Pisa e Livorno.
Tra quei giornalisti c’era anche l’amico Marco Ceccarini, ideatore e fondatore di Amaranta.it, che era giunto a Pisa assieme a una collega e che si trovò al centro di un allucinante pomeriggio di follia, così allucinante che, se non fosse davvero accaduto, sarebbe da pensare che non può essere vero. Un pomeriggio che si concluse al pronto soccorso dell’ospedale di Livorno per alcuni, presso medici di base per altri, e che non si trasformò in tragedia solo perché un casuale intervento della Polizia salvò i malcapitati, scortandoli fuori dallo stadio.
Con tutto ciò la cosa che più fa male, ancora dopo quindici anni, è che la tragedia poteva consumarsi senza un reale motivo, forse perché in quella delirante domenica di calcio, nel contesto di una partita “calda”, i giornalisti aggrediti erano al seguito, come cronisti, della squadra “sbagliata”. Ed invece di ricevere aiuto, invece di essere tutelati, incontrarono altri giornalisti, ossia alcuni colleghi locali, che per giustificare l’ingiustificabile, un’aggressione portata avanti a più riprese, si scagliarono contro di loro.
Nei giorni successivi i giornalisti livornesi chiesero giustizia, ma questa fu negata, almeno in modo pieno. Dopo l’indifferenza e addirittura il disprezzo iniziale, anzi, ci fu anche l’ostracismo messo in atto, sul momento, anche da dei colleghi livornesi, alcuni dei quali continuarono nei giorni e nelle settimane successive, nei mesi e negli anni che si sono susseguiti. L’Ordine dei giornalisti della Toscana non inviò mandò neppure una riga di solidarietà. E lo stesso fece l’Associazione stampa regionale. La Federazione nazionale della stampa, invece, rispose positivamente a una nota dell’associazione Articolo 21 di Livorno facendo pervenire un messaggio di solidarietà ai cronisti livornesi offesi e dileggiati a Pisa.
Inutili furono le querele contro ignoti per le aggressioni subite – una dozzina di ultras pisani circondarono e colpirono i quattro giornalisti di Livorno, tra cui una donna e un uomo anziano – ed anche quelle nei confronti di alcuni giornalisti locali per come si comportarono e per quello che dissero nel corso di una diretta televisiva in onda su un’emittente della Toscana costiera. Nonostante le immagini televisive, nonostante prove schiaccianti, nessuno infatti è stato condannato per diffamazione o calunnia. E neppure un tale Maurizio, uno che sfruttando l’anonimato offese i suddetti giornalisti livornesi intervenendo in diretta in una trasmissione su un’altra emittente della costa toscana, è stato mai identificato.
La vicenda ebbe mille risvolti poco chiari e il sospetto che le indagini non vennero fatte con cura, o quantomeno con la necessaria attenzione, c’è sempre stato. La denuncia penale ai danni di ignoti per le aggressioni, per i giornalisti e per il tal Maurizio per diffamazione, vennero archiviate. Ma al di là della questione penale, ammesso e non concesso che davvero in quanto accaduto non vi fossero risvolti penali, la vicenda comportava anche e soprattutto risvolti di tipo deontologico. E così venne posta all’attenzione dell’Ordine.
Ma l’esposto presentato all’Ordine dei giornalisti della Toscana, incredibilmente, venne “congelato” per anni, in attesa degli esiti dell’inchiesta della Magistratura. Per carità, nulla “contra legem”, dal momento che diversi consigli dell’ordine, e non soltanto dei giornalisti, seguivano allora tale prassi, oggi superata da una riforma della legislazione in materia. Una prassi che, alla fine, provocò il discutibile esito di tenere sospeso per cinque o sei anni un esposto invece di indagare la vicenda sul piano strettamente deontologico e non penale, e neppure civilistico, stante il già allora consolidato principio dell’autonomia della valutazione disciplinare rispetto a quella giudiziaria. Una questione irrilevante in sede penale, infatti, può ledere i principi della deontologia professionale e dar luogo a responsabilità di tipo disciplinare.
Solo attraverso la sensibilizzazione messa in atto dall’associazione Articolo 21 di Livorno che pubblicò il libro “I fatti di Pisa” scritto da Ceccarini, a seguito della presa di posizione del Gruppo cronisti toscani, l’Ordine regionale, su iniziativa di alcuni consiglieri eletti a Firenze, riprese il fascicolo per analizzarlo e prendere delle decisioni.
Da lì si mise in moto l’iter che, sul finire del 2010, ovvero ben otto e mezzo anni dopo quel 17 febbraio, portò i fatti accaduti a Pisa sui tavoli del consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti di Roma, dove il Ceccarini, pur rivivendo il dolore, poté raccontare non solo quanto era accaduto quella domenica a Pisa, ma anche e soprattutto quanto è avvenuto dopo, quando non è stato dato il giusto peso alle trascrizioni, alle registrazioni e alle immagini che, documentando azioni ed offese, non avrebbero dovuto lasciare dubbi sul comportamento di certi colleghi.
E lì, correttamente, il Consiglio nazionale affermò che il fatto che i giornalisti livornesi avessero subito violenza “è riprovevole e va censurato, indipendentemente da ogni e qualsiasi altra valutazione”. E aggiunse che “non è corretto spiegare un’aggressione con un atteggiamento non consono al ruolo del giornalista ne’ attribuire a dei colleghi la colpa di aver provocato incidenti, senza riscontri precisi”.
Tuttavia, fatta tale premessa, il Consiglio concluse richiamando il decreto di archiviazione della Magistratura sulle querele e sulle controquerele e stabilì, rifacendosi alla decisione della Magistratura penale, di non poter accertare responsabilità e violazioni deontologiche.
Pur amareggiato dal non aver avuto la giustizia che invece meritava, Ceccarini in quel frangente ebbe comunque la soddisfazione di sentir pronunciare, da parte dell’Ordine nazionale, parole di condanna verso quei guornalisti di Pisa che, invece di attenersi alle regole deontologiche della loro professione, quel giorno difesero una violenza gratuita messa in atto da degli ultras facendo loro stesso gli ultras. Ai giornalisti livornesi, in quell’occasione, venne moralmente riconosciuto che quel 17 febbraio furono ingiustamente offesi ed aggrediti, anche se una vera condanna degli autori delle aggressioni e delle successive diffamazioni, purtroppo, non c’è mai stata. E questa mancanza, indubbiamente, rappresenta un’ingiustizia che, ci auguriamo, venga in qualche modo sanata.
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