Palazzo Blu si arricchisce con un’opera di Simon Vouet
30 Settembre 2019
(Simone Consigli) Pisa, 30 settembre 2019 – Una nuova opera entra a far parte della collezione della Fondazione Pisa di Palazzo Blu. Si tratta del ritratto di Artemisia Lomi Gentileschi, realizzato nel 1623 a Roma dal pittore parigino Simon Vouet.
E’ il ritratto di una donna libera e eccezionale, perseguitata dai potenti, stuprata, torturata e costretta a fuggire. Simon Vouet la ritrae con uno sguardo penetrante e con in mano il toccalapis, i pennelli e la tavolozza. Artemisia è stata una delle pochissime pittrici donne della storia, collocata dalla critica come una delle rappresentanti più importanti del 600 europeo, nel mito è diventata un’icona quanto Frida Kahlo.
Artemisia nasce a Roma nel 1953 e inizia a dipingere insieme al padre, Orazio Gentileschi, pittore caravaggesco. Nel 1611 il padre decide di affidare Artemisia alla guida del maestro di prospettiva Agostino Tassi, molto noto a Roma e legato a personaggi influenti. E’ in quell’anno, nella casa di famiglia, durante una lezione, che la giovane pittrice viene violentata ancora vergine dal Tassi.
Quello che seguì il tragico evento ha condizionato tutta la vita e la produzione artistica di Artemisia. Lo stupro non venne subito denunciato poiché come era uso all’epoca si optò per un matrimonio riparatore al quale Agostino Tassi acconsentì. La denuncia alle autorità avvenne in un secondo momento ad opera del padre di Artemisia, momento in cui questi scoprì che il Tassi in realtà era già sposato da cinque anni.
Da allora per Artemisia inizia il calvario, i pettegolezzi, l’isolamento sociale dovuto agli amici altolocati del Tassi, le ripetute visite ginecologiche effettuate al fine di accertare lo stupro e in ultimo persino la tortura, testimoniata storicamente, praticata mediante lo stritolamento dei pollici, cosa assai pericolosa per il suo mestiere di pittrice, al fine di ottenere una testimonianza “più affidabile”. Alla sventura si aggiunge poi la beffa, infatti Agostino Tassi viene sì condannato a cinque anni di reclusione oppure all’esilio da Roma, ma Tassi optando per l’esilio non sconterà mai la pena de facto, poiché il vecchio maestro di Artemisia resterà a Roma protetto dai suoi potenti amici. In questi anni i pettegolezzi e le maldicenze aumentano e Artemisia è costretta a lasciare Roma per stabilirsi a Firenze presso la corte di Cosimo II, regnate illuminato del Granducato che si contornava di artisti. Qui Artermisia si sposò col modesto pittore Piernatonio Stiattesi e entrò in contatto con l’intelligentia fiorentina, diventando buona amica anche di Galileo Galilei.
La carriera di Artemisia può adesso riprendere, come la sua vita, che terminerà a Napoli nel 1654, all’età di 71 anni. Il dipinto di Simon Vouet è una delle opere ritrattistiche più importanti del 600, la donna ci appare in tutta la sua essenza, abito color zafferano, orecchini a goccia, lo sguardo penetrante e deciso e in mano gli strumenti del mestiere di pittrice. Il ritratto, realizzato nel 1623 è stato scoperto e attribuito solo nel 2001. Per risalire all’identità di Artemisia Gentilischi è stata determinante l’analisi della scitta “Mausoleion” sul medaglione che la pittrice reca nel dipinto, “Mausoleion” è infatti relativo al mausoleo della leggendaria Artemisia, regina di Alicarnasso (Asia Minore 350 a.c.).
Simon Vouet, amico e confidente di Artemisia era un importante maestro francese e pittore di corte. L’opera sarà affiancata da un’altra tela, la Musa della storia Clio, una delle opere più importanti di Artemisia, realizzata a Napoli nel 1632. Le due opere resteranno a Palazzo Blu fino a marzo 2020 quando partiranno per la National Gallery di Londra, per la prima grande mostra monografica sulla pittrice italiana. Al termine della mostra le opere torneranno a Pisa permanentemente.
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